Il lavoro rende liberi. Ne siamo veramente sicuri?

C’era una volta, una scritta che accoglieva coloro che venivano deportati nei vari campi di concentramento della Germania nazista: “Il lavoro rende liberi”. Questa scritta, ancora oggi, fa discutere per il suo senso. Rispetto a quell’epoca, il mondo è cambiato parecchio, si sono susseguite evoluzioni tecnologiche, di pensiero e culturali, ma il lavoro è sempre stato imprescindibile per poter vivere.

Molti lavori, dalla nascita delle civiltà sino ad oggi, sono nati e si sono estinti a seguito del progresso, dell’acquisizione di conoscenze che prima non si avevano, e ancora, di scoperte sensazionali. Il mondo, quindi, è stato stravolto più e più volte, e anche il diritto del lavoro ha avuto la sua storia e la sua evoluzione.

George Orwell con la sua opera “1984”, volgarmente chiamata anche “Il Grande Fratello” ci aveva visto lungo, perché sembra che ciò che lui abbia scritto nel suo racconto, si stia pian piano avverando, come per esempio il controllo totale di ciò che fanno i lavoratori dipendenti, togliendo ogni forma di privacy, riducendoli come schiavi. Schiavi del terzo millennio.

I quotidiani passi avanti della scienza e della tecnologia dovrebbero essere volti a dare una maggiore ergonomicità ai lavoratori che devono essere sempre più comodi nelle mansioni che svolgono, in modo tale da diminuire la probabilità di errore, che in tanti casi può essere fatale. La robotizzazione, in questo senso, può dare una grossa mano d’aiuto, in quanto molti lavori usuranti possono essere svolti da una macchina che non si stanca e soprattutto sbaglia di meno. Questo concetto però potrebbe non andar giù a tantissima gente tradizionalista che odia le macchine perché “rubano” dei posti di lavoro. Vedi la scena della pigiatura dell’uva nel mitico film “Il bisbetico domato” di Adriano Celentano. Ma l’uomo dovrebbe essere impiegato dove e quando una macchina non può assolutamente sostituirci. Dove? Per esempio, nelle risorse umane, perché solo un uomo può avere a che fare con buon senso con un altro uomo. Oppure, nell’agricoltura e nell’allevamento, dove solo l’uomo con le sue conoscenze e con il suo buon senso può agire. Ancora, nel mare, negli ecosistemi in generale e nella natura, dove serve una persona che pensa. Già, perché ricordiamoci sempre che le macchine e i robot non hanno un cuore e un cervello.

Per cui si potrebbe dire basta ai classici turni di 8 ore lavorative, dove l’uomo è costretto a lavorare per così tante ore, perdendosi il momento in cui il proprio figlio fai i suoi primi passi, o dice la sua prima parola. Non pensiamo, poi, al passato, quando l’uomo lavorava, dapprima, dalle 16-18 ore al giorno, poi si è scesi a 12 ore, ed infine a 8. Ancora troppe. Ancora troppe per un mondo in cui il progresso viaggia alla velocità della luce. Si spera, in un futuro prossimo, che queste ore vengano ancora ridotte, in modo tale da avere una persona meno stanca e più attenta, meno stressata e più di buon umore, così che possa lavorare meglio e dare sempre il massimo.

Con questo non vogliamo dire che l’uomo non debba lavorare, perché si sa bene che:

L’uomo è senza dubbio essenziale per il lavoro, e il lavoro è senza dubbio essenziale per l’uomo.