Smart working? Sì, ma…

L’emergenza sanitaria del COVID-19 sta rivoluzionando il mondo del lavoro, portandolo, con una brusca accelerazione, verso una digitalizzazione spinta. Sebbene in molti paesi d’Europa lo smart working venisse già utilizzato da tante aziende, in Italia si faceva fatica a farlo partire. Perché?

Parliamo un po’ di dati.

Secondo l’Osservatorio Smart Working, gli smartworker nel 2019 (cioè prima dell’emergenza sanitaria) erano solo 570.000 (+20% rispetto al 2018). Nonostante il cospicuo aumento rispetto all’anno precedente, che vedeva l’Italia in fondo alla classifica europea (dopo Grecia e Slovacchia) [Link alla fonte] il fenomeno rimaneva limitato solo alle grandi aziende, che avevano le capacità di fornire gli strumenti per poter consentire il “lavoro agile” anche da casa.

A fronte dell’emergenza sanitaria che tutti i paesi del mondo hanno dovuto affrontare, compresa l’Italia, si è dovuti ricorrere obbligatoriamente a questo nuovo modo di lavorare. Secondo le ultime fotografie, le persone che hanno dovuto cambiare il loro modo di lavorare sono circa 2,8 milioni e si stima che possano diventare circa 5 milioni, a fronte dei 18 milioni totali di dipendenti in tutto il Paese. [Link a questo interessante articolo dell’Eco di Bergamo]

Perché in Italia lo smart working faceva fatica a decollare?

Bisogna fare una premessa, e cioè che il vero smart working non è questo che si sta facendo durante l’emergenza sanitaria, in cui i lavoratori connessi da remoto rispettano perfettamente gli orari dell’ufficio, e oltre. Il vero smart working consiste nel lavorare senza un orario preciso con lo scopo di raggiungere l’obiettivo fissato dall’azienda. Una riorganizzazione del lavoro rispetto al raggiungimento del risultato.

In Europa esistono diversi tipi di smart working: Agile Working, Flexible Working, Telework, Work 4.0, Activity Based Working, Mobile Working, New Ways of Working. Tutte sfumature che però non perdono il significato originale. [Link per chi volesse approfondire]

La fiducia. Una prima risposta la troviamo in questa parola. La maggior parte delle aziende, soprattutto le PMI, hanno la classica mentalità di dover controllare in ogni momento i propri dipendenti per fare in modo che questi tengano alta la produttività.

Gli strumenti. È noto che la rete Internet italiana non sia tra le più veloci al mondo, e non tutte le aziende sono in grado di fornire ai propri dipendenti tutti gli strumenti necessari (telefono e laptop).

Il lockdown imposto dal Governo il 12 marzo 2020 a fronte dell’emergenza COVID-19 ha mosso decisamente le acque, obbligando di fatto tutte le aziende a convertire il lavoro tradizionale dei propri dipendenti in “lavoro agile”. Ma va ricordato che “lavoro agile” non è, in quanto con le scuole chiuse e con la semplice trasposizione del lavoro tradizionale a casa, si potrebbe ottenere un effetto boomerang. Ma, secondo l’ultima indagine di Euromobility, il 33% di italiani si dichiara favorevole a continuare con questo sistema di lavoro; il 55% sì, ma solo in maniera limitata; il restante 13% vorrebbe tornare al lavoro tradizionale. [Link all’articolo] Lo smart working, quindi, piace.

Quali sono gli aspetti negativi dello smart working?

Secondo un articolo recente di Forbes.it, i lavoratori soffrono l’isolamento dai colleghi, la mancanza di un confronto faccia a faccia, e infine, un aspetto decisamente allarmante: si fa fatica a separare il lavoro dalla vita personale.

Lo smartworking, in tal senso, rischia di portarci verso una disponibilità 24/7, lavorando di fatto molto di più e rendendo la nostra vita ancora più frenetica di prima.

Quali sono gli aspetti positivi dello smart working?

Flessibilità. La parola chiave è la flessibilità e, quindi, la possibilità di organizzare il proprio tempo in modo funzionale. Sia in termini di gestione del lavoro, sia in termini di gestione della casa e della famiglia.

Risparmio. Lavorando da casa si ha un alleggerimento delle rete dei trasporti, una diminuzione delle auto in circolazione e di conseguenza un minore impatto a livello ambientale. L’aria delle nostre città diventerebbe più salubre, come dimostrato in questo periodo di quarantena  anche da National Geographic. Inoltre, con gli uffici vuoti le aziende risparmierebbero acqua, corrente, gas per il riscaldamento, e forse sarebbero necessari minori spazi (se lo smart working fosse spinto).

Il diritto alla disconnessione.

Con lo smart working si sta introducendo un concetto sacrosanto, e cioè il diritto alla disconnessione. Secondo Wikilabout.it, il dizionario del diritto dei lavoratori, per diritto alla disconnessione si intende il diritto per il lavoratore di non essere costantemente reperibile, ossia la libertà di non rispondere alle comunicazioni di lavoro durante il periodo di riposo, senza che questo comprometta la sua situazione lavorativa. La sua previsione è importante particolarmente nell’ambito del lavoro agile.

In questo periodo di quarantena, molti scambiano il tempo di riposo in “tanto è in casa e non ha una mazza da fare”. Non dobbiamo cadere nell’errore che lo smart working significhi essere reperibile sempre e comunque. Dobbiamo difendere con tutte le forze il nostro tempo libero, in quanto sacro. Tutti abbiamo il diritto di riposarci, di stare svaccati sul divano a guardare la TV fuori dall’orario di lavoro. È importante che, finita l’emergenza, questo concetto diventi la base per il prosieguo dello smart working in Italia.

Anche i sindacati stanno cominciando a muoversi in tal senso, per esempio Findomestic ha stabilito che, al di fuori dell’orario di lavoro venisse riconosciuto il diritto di non rispondere alle mail e alle telefonate fuori dal suddetto oraraio. [Link] Diverse aziende che lavorano nel settore bancario e assicurativo si stanno muovendo in tal senso. Insomma, per fortuna, questo problema è sentito da molti e si spera che nel giro di poco tempo questo diritto venga esteso a tutti ed entri nel DNA lavorativo delle aziende.

Lo smart working è un nuovo sistema lavorativo che porterà una rivoluzione delle nostre vite e del concetto del lavoro. Per questo serve una riorganizzazione di tutto il sistema e un cambio nel modo di pensare delle aziende, che vada incontro alle esigenze del lavoratore in termini di flessibilità, ma allo stesso tempo sia un tornaconto positivo in termini di produttività e raggiungimento degli obiettivi prefissati.

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