La spiaggia aveva il suo solito colore grigiastro, e si intravedeva una sfumatura più o meno a metà, dove la sabbia diventava più chiara, forse per una mareggiata di qualche giorno prima. In effetti, qua e là vi era sporcizia varia, plastiche e pezzi di canna smembrati. Mi piaceva suonare mentre gli altri si rilassavano; accompagnare con la musica Anna e Titti che si sistemavano sdraiate negli asciugamani di fianco a me mi faceva sentire per un attimo felice. Finita una canzone me ne chiedevano subito un’altra. Io provavo a suonare qualche brano che ballavano di solito quando uscivano la sera in città. Mi mettevano in soggezione le persone che si fermavano a sentirmi, ma non alzavo lo sguardo e allungavo le canzoni con qualche ritornello in più per non guardarmi attorno. Esibirmi in pubblico è sempre stata una cosa di cui avevo paura.
Mentre Titti e Anna rimanevano a crogiolarsi al sole, raggiunsi Ciano al chiosco. Lì rimanemmo a guardare per diverso tempo le partite di calcio balilla. Era uno sfottersi di continuo, e qualcuno aveva bevuto una birra di troppo, sebbene non fosse così tardi. Temevamo che il tutto avrebbe potuto finire con una scazzottata. Ma c’era qualcuno, che come noi non voleva problemi; allora ignoravamo la provocazione pesante, con una risata e gesti di approvazione.
La sera, in paese, i motorini sfrecciavano nel traffico selvaggio e ronzavano all’unisono come uno sciame di vespe che si muoveva in modo fluido tra le macchine in fila. Ciano ed io aspettammo a lungo le ragazze che si preparavano per uscire in piazza.
-C’ho fame- disse Ciano infastidito per quell’attesa.
-Cos’avranno tanto da fare le donne che si fanno attendere in questo modo?- risposi io imbronciato.
Passò un vecchio amico di Ciano, erano stati bambini insieme tra le strade del suo rione. Io l’avevo conosciuto a una delle tante feste che si facevano in casa nel periodo del liceo. Quel tipo portava sempre dei dischi nuovi, generi alternativi. Era la persona che tutti invitavano alle feste.
Una sera, di ritorno a una di quelle serate si schiantò con la moto in un curvone. Quella sera la notizia arrivò subito in tutte le case, c’era gente che diceva che era morto sul colpo, altri che il corpo si era spezzato in due. Rimase in ospedale quasi un anno e quando tornò lasciò stare le moto, ma continuò a portare alle feste della musica nuova.
Ora, vedendolo dopo diversi tempo, era irriconoscibile. Senza barba ma con i capelli lunghi e il passo claudicante. Mi guardò senza salutare, nonostante mi avesse riconosciuto, così rimasi un po’ in disparte in attesa che finisse di parlare con Ciano. Anna e Titti erano passate avanti verso il piccolo centro.
-Hai capito chi era?- mi chiese Ciano appena ripreso il cammino.
Feci cenno di sì con la testa.
-È un miracolato- disse ancora.
-Quella sera la ricordo bene- risposi. -Non eravamo altro che ragazzini-
-Eppure, alla vita non importa comunque… Non è mai importato niente di nessuno- aggiunse Ciano. -Si è portato via il mio babbo, ma… se avesse potuto risparmiare anche solo i giovani, avremmo con noi Vito, Delia, Giammaria-
-Ma a che serve citare i morti adesso?- dissi infastidito. -Pensa al presente, e a capire se ogni istante che stai vivendo adesso è ciò che volevi vivere da ragazzo-
-Ma che ragazzo e ragazzo. Da ragazzi non si capisce niente, si pensa solo scopare!- e aggiunse: -…e bere-
Feci un respiro profondo, Ciano si girò iracondo come pronto a ribattere qualcosa.
-Le ragazze ci hanno seminato- dissi indicando la fine della strada.
Tra tutte le teste che popolavano la via riconobbi la chioma di Anna ai tavolini del bar “Terrazza”. La guardai per un attimo come fossi un estraneo: era bella. Molto bella. Con quelle lentiggini che la facevano sembrare un’eterna ragazza e quando, seduta, rimaneva con le gambe accavallate e cominciava a discorrere con quel suo gesticolare tutto particolare.
-Volete qualcosa?- chiesero le ragazze.
Mi avvicinai al cameriere che passò lì vicino e ordinai un chinotto. All’improvviso, Titti diede a Ciano un manrovescio.
-E mo’ che ho fatto?- chiese lui.
-Hai guardato quella là?- rispose Titti incazzata.
-Ma che vuol dire?- Piagnucolò lui. -Adesso non si può neanche guardare?-
-Non si può guardare no!- sostenne lei adirata.
Io e Anna guardammo la scena divertiti.
Ciano si tenne la guancia per qualche minuto. Accendemmo tutti una sigaretta, in silenzio.
Dei ragazzini urlavano nel bar accanto.
-C’è bisogno di fare tutto questo casino, dico io- si lamentò Anna.
-Sono solo bambini- dissi guardando il mare.
-Noi alla loro età eravamo più composti- ribatté lei.
-Sei solo poco tollerante- le risposi.
-Ma cosa guardi, che non si vede quasi niente?- mi disse Anna mentre portavo il mio sguardo verso la spiaggia buia.
-Nell’oscurità si vede meglio di ciò che si crede- dissi alzandomi.
-Ecco il professore dei miei stivali.- rispose infine lei facendo un piccolo applauso.
Non ci badai e mi poggiai alla ringhiera subito dietro. Sentivo le onde adagiarsi sulla battigia, e osservavo il faro illuminare ciclicamente la parte di costa dalla nostra parte. In lontananza si poteva vedere la schiuma delle onde che si frantumavano imbestialite sulle rocce che affioravano dal mare. Tutti si alzarono e mi raggiunsero.
-Andiamo a ballare?- propose Titti.
Nessuno disse niente..
Allora, annoiati per la sera calda e affollata, camminammo ancora per la via principale, e ci capitò di passare vicino alla chiesa dove c’era un ragazzo molto giovane che cantava e si accompagnava con la chitarra. Lo guardai e vidi tutta la speranza della sua giovinezza, ma anche della mia. Vedevo tutti i miei sogni fluttuare nell’aria così, a portata di mano. Feci una smorfia.
Anna si accorse di quei pensieri e mi prese la mano per un momento, senza guardarmi. È dura raggiungere la consapevolezza che tutti i sogni che facevamo da ragazzini non potevano più essere realizzati. E ti accorgi di come gli anni siano relativamente brevi e di come nessuno di noi sia consapevole del presente che vive e del tempo che passa.
-Andiamo via- disse Anna.
Aveva capito quanto fosse doloroso per me vedere quel ragazzo suonare. Mi tenne la mano fino all’appartamento di Ciano, e sulla porta ancora chiusa mi baciò.
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