Un pomeriggio di maggio

villa della regina

I canti dei passeri ci accompagnano lungo la salita della strada di Santa Margherita. Lungo tutto il marciapiede corre la recinzione della villa, adornata con diverse piante rampicanti. Nei pressi del cancello principale, dove la strada si contorce su se stessa disegnando una curva a gomito, il biancospino cattura l’attenzione mia e di Valentina.

“Guarda!” mi dice lei sorridendo. Non credeva ai suoi occhi, forse non aveva mai visto così tante piante di biancospino tutte insieme. E in effetti, era uno spettacolo.

Continuiamo a camminare e finalmente entriamo all’interno della Villa della Regininterno_villa della reginaa. Passiamo in rassegna varie stanze, la cui architettura suscita delle emozioni forti. Si respira il barocco in ogni dove. I pavimenti di parquet cigolano al nostro passo, come a lamentarsi di essere calpestati. In ogni stanza è presente una console in cui ogni specchio termina con una cornice di legno dorata. Insomma, si respira la storia.

Dalle porte finestre, fatte interamente in vetro, traspare cosa succede in giardino. Il sole entra prepotentemente nei corridoi, così veniamo attratti da quella luce ed usciamo fuori. Al centro del piazzale sterrato è situata una fontana, il cui gorgoglio traccia una traiettoria semplice, quasi triste. Di fronte a noi, un muraglione di granito si eleva, e all’interno vi sono diverse nicchie che ospitano statue marmoree di personaggi semplici. Un fabbro, un contadino, un artigiano. Alcune statue sono brutalmente decapitate, a rimarcare l’antica storia di questo posto.esterno_villa della regina

Saliamo alcuni gradini, in cui la pedata è fatta con ciottoli di fiume. E’ quasi fastidioso camminarci sopra. Arriviamo finalmente al clou del giardino. Una fontana semicircolare ospita una statua dalla quale sgorga dell’acqua. Pochi metri più indietro, una faccia tenta prepotentemente di uscire dal muro, come se ci fosse una persona imprigionata dentro. Più in alto, il muro prende una forma a corona. I brividi mi percorrono la schiena perché quel simbolo suscita in me qualcosa di grande. Valentina mi chiede se voglio fare qualche foto, così prendo la mia macchina e scatto numerose foto da tutte le angolature possibili.

Da qui, si vede tutta Torino. La collina si appoggia sull’ansa del Po, come se fosse stanca. Un vigneto si arrampica coraggiosamente nella parte superiore del pendio. Attraversiamo un piccolo prato incurato e preso in ostaggio dai papaveri e dalle margherite. Mi sembra quasi di camminare su un quadro di Monet. Sì, penso che questo scorcio l’avrebbe dipinto volentieri. Ma alcune volte, è la natura che ci offre quadri stupendi nonostante siano così semplici e selvaggi.vigneto

Il vento accarezza il prato. La chioma folta di Valentina viene messa a dura prova. Io ringrazio che l’aria porti alle mie narici un profumo dolce di fiori che mi ricorda tanto l’orto della nonna. Ci fermiamo in un piccolo bastione e qui rimaniamo a bocca aperta. Eccola, Torino. La città si distende comodamente sul letto della pianura. Prendo la mano di Valentina, perché ho bisogno di condividere queste emozione forte con lei. Entrambi rimaniamo in silenzio. Non una voce, non un rumore. Solo il vento. Solo il sole. Solo noi.

© Michael Floris – Tutti i diritti sono riservati.