Tutte le forme del sole – parte 1

Ci fermavamo sovente a guardare le luci dell’alba, io, Anna, Ciano e Titti. Gli altri se ne andavano via sempre prima, quando la temperatura scendeva da far freddo e qualcuno cominciava a sbadigliare insistentemente.

Anche quella sera rimanemmo sotto la luce dello stesso lampione, il cui palo era invaso da firme, nomi, date, e promesse d’amore. Quel palo, come i restanti del parchetto avevano assistito alla storia degli ultimi trent’anni di ciascuno di noi e, perché no, anche di qualcuno di passaggio.

Smisi di suonare la chitarra non appena il gruppo si disgregò con l’inoltrare della notte e rimanemmo noi quattro soli con nessuna intenzione di rincasare. Anna mi chiese di suonare ancora un po’, ma mi facevano male le mani e la chitarra era quasi completamente scordata ed esausta dopo tutte quelle ore di servizio. Titti si appoggiò a Ciano e dormicchiava, mentre io e Anna dividevamo una sigaretta in silenzio.

-Mi accompagni? – chiese Anna quando ormai era quasi giorno.

Presi la bici un po’ scocciato, perché per me era sempre troppo presto, e misi la chitarra a tracolla.

-Agli ordini, signorina- risposi facendo il saluto militare.

-Scemo-

Anna prese posto all’amazzone e mi chiese di fare attenzione ai fossi. La strada di fronte a noi si apriva sulle montagne, che ai primi bagliori si tingevano appena di rosa.

-Guarda…- Anna mi tirò la manica della giacca per chiedere attenzione. -Guarda che belle! –

Arrestai la corsa lenta della bici per guardare meglio le stelle, quasi cancellate dal cielo divenuto ormai chiaro, anche se ci fermavamo a guardarle ogni volta che rincasavamo così tardi. Contemplammo in silenzio quel panorama che apparteneva al posto dove eravamo nati e da dove non eravamo mai andati via per più di due giorni di fila.

Anna si lasciò andare appoggiando la testa sul mio petto.

-È tardi-

Mi presi l’onere di rompere quell’incantesimo mattutino.

Davanti casa Anna si tolse le scarpe prima di entrare e mi chiese se potesse tenere la mia giacca.

-Passo a prenderla un giorno di questi-

Con la bici passai dritto davanti casa e proseguii fino al bar, dove Antonello di primo mattino sfornava i cornetti alla crema per gli operai della fabbrica accanto, e che passavano di là tutte le mattine prima che montassero il turno.

-Ciao Robè, nottata? –

Scrollai le spalle, come a dire la vita di sempre.

-Perché non te la sposi? – mi incalzò.

-I disgraziati come me una come Anna se la sognano- risposi guardandolo indaffarato andare su e giù per il bancone.

-Ma sta sempre attaccata a te! –

-È perché suono le canzoni che le piacciono-

-Sarà… ma se non ti muovi prima o poi si stuferà o, peggio, troverà qualcuno che le suonerà canzoni più belle delle tue-

-Dammi un cornetto e falla finita-

Mi stufai dei suoi discorsi da padre e mi rimisi in sella alla bicicletta. Le campane della chiesa di Sant’Andrea suonarono le sette.

Quando arrivai a casa Pino dormiva ancora. Mi tuffai di peso sul letto sperando di prendere sonno subito. Quando non ci riuscivo pensavo alle montagne che avevo visto poco prima.

Michael Floris – Tutti i diritti sono riservati.