-Che fai ancora in giro così tardi?- chiesi.
-Volevo salutarti, sono giorni che non ci vediamo.- rispose Anna.
-Ho avuto da fare- mentii io, lì per lì.
-Ecco la giacca, grazie-
-Cos’è questo odore?-
-Mia madre si è offerta di lavarla-
Accesi una sigaretta.
-Non doveva scomodarsi-
Anna alzò le spalle e si allontanò senza salutare.
Tramite un amico di Pino trovai un lavoro di fatica vicino la stazione. C’era un meccanico che aveva bisogno di un garzone, e io, che non sapevo di cosa farmene di tutte quelle ore del giorno senza far niente, accettai, anche con una paga misera.
-È per cominciare- disse Pino -il resto verrà da sé-
Che cosa sarebbe dovuto arrivare poi non lo capivo mica.
Rientravo alla sera che era già ora di cena. Con il trascorrere dei giorni persi la voglia di passare al bar a salutare Ciano e gli altri. Tiravo diritto a casa e, prima di entrare, dalla porta accanto si affacciava puntualmente Tilde per darmi qualche vestito pulito e un po’ di zuppa. Non ha mai accettato soldi, forse perché le facevo molta pena.
Dopo cena strimpellavo un po’, Pino si metteva a canticchiare mentre stendeva lungo il filo che attraversava la stanza in diagonale. Mi diceva sempre di imparare le canzoni nuove americane, quelle che ti fanno muovere subito il bacino.
-Perché non suoni nelle balere?- disse lui.
-A fare che?- chiesi come a dire, mi senti?
-Tu sai fare solo una cosa, suonare-
-Macché suonare e suonare; so fare due accordi e neanche bene-
-Ti ci vedrei bene a guadagnare così, sai?-
-Intendi come un disgraziato? Può darsi-
Tilde batté la parete col bastone.
-È tardi- dissi, chiudendo la chitarra nella sua custodia.
Qualche sera dopo passò Ciano a chiedermi se il sabato successivo volessi andare con loro alla baita del nonno.
Passarono con la sua auto nuova, e oltre ad Anna e Titti, sul sedile posteriore figurava un tizio nuovo, che non avevo mai visto. Sistemai la chitarra nel bagagliaio e mi fecero posto davanti, accanto a Ciano.
-Stasera gela- disse lui indicando il cielo orfano di nuvole, mentre l’auto s’inerpicava tra i tornanti.
Arrivammo su che era quasi l’imbrunire, così appena scesi dall’auto andammo tutti a far legna, che sistemammo sotto il portico di fianco all’ingresso. Titti tirò fuori il diplomatico dalla borsa.
-Facciamo la polenta- disse Anna mentre si adoperava a caricare la stufa a legna.
-Tu sei Robi?- disse il tizio nuovo.
-Sì-
-Filippo-
Feci un cenno con la testa, poi uscii fuori sul portico a fumarmi una sigaretta. Ciano mi seguì.
-Qua le case vengono su come funghi- disse Ciano sedendosi vicino a me.
Davanti a noi il paese si accendeva tutto. Dal piccolo centro fino alle baite in fondo, e le montagne a contrasto con il cielo non ancora diventato troppo scuro rivelavano il loro profilo aspro.
-C’erano quattro case qui davanti, quando noi eravamo ragazzini- risposi tirando fuori dei ricordi che mi sembrava di aver perduto.
Anna preparò una buona polenta, ricca di toma e qualche altro tipo di formaggio che ognuno aveva portato. Ciano accese la lanterna e portò delle coperte per farci sistemare tutti sotto il porticato. Portai fuori una bottiglia di vino e cominciai a strimpellare per scaldare le mani. Anna e Titti si misero a ballare al centro seguendo il ritmo.
Oltre a noi non percepivo nessun altro rumore che provenisse da lì intorno, e sembrava che il resto della valle fosse in verità un paesaggio inesistente. Pensavo che forse sarebbe stato meglio là in paese, al parchetto, o al bar, dappertutto fuorché essere qui a sentirmi fuori dal mondo a dettare il ritmo agli altri.
Filippo si avvicinò ad Anna porgendole la sigaretta accesa.
-Sembra che le ragazze si stiano divertendo- disse Ciano senza che gli altri sentissero.
-Già-
Il vino aiutava a scaldarci, ma non a renderci felici. Mangiammo ancora della salsiccia e del formaggio. Filippo ci raccontò dell’università, presto si sarebbe laureato in economia e sarebbe andato via per lavorare in un grosso studio commercialista. Ci mettemmo a discutere sul perché il paese stava attraversando una grossa crisi che durava ormai da troppo tempo.
-Suona!- mi ordinò Anna intuendo la mia voglia di fare polemica.
Continuai a prendermela con lui, una persona che veniva da una famiglia benestante e che parlava degli ultimi come fosse uno di loro. Gli dissi che non sapeva neanche cosa volesse dire essere ultimo, non sapere come fare per mangiare, per dormire, e per avere dei vestiti puliti.
-Suona, ti ho detto!- ringhiò ora Anna.
La guardai che non era lei. Allora presi la chitarra, accessi una sigaretta e ripresi a suonare come se nulla fosse successo.
Filippo mi guardava in cagnesco, si prese Anna sottobraccio e la fece ballare davanti a me come a sbeffeggiarmi. Io suonai per amore della musica ma anche di me stesso.
Il giorno dopo tornammo che era metà mattina. La domenica in paese tutti riposavano meno che i contadini. Loro non conoscevano giorno di riposo se non quando cadevano malati. Mi sono sempre chiesto che vita fosse quella, essere condannato per tutta la vita al non risposo ed essere considerati una categoria misera e allo stesso tempo essere fondamentali per la catena economica. La vita sa essere beffarda e ironica allo stesso tempo, a volte.
Anna si presentò a casa con un’aria ancora iraconda.
-Sei stato uno stronzo- mi disse.
-Cosa vuoi da me?- le risposi accendendomi una sigaretta. -Te lo sei portata tu quel Filippo.-
-È solo un amico-
-Sarà…-
Anna venne a casa a dirmi che nel fine settimana successivo sarebbero andati al mare. Alzai le spalle per dire che non lo sapevo.
-Tu non sai mai niente- disse lei lasciandomi sull’uscio di casa visibilmente infastidita.
Presi la giacca e andai al bar per sapere le ultime notizie.
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