Al casinò

Si passò le mani sui capelli e si guardava allo specchio continuandosi a sistemare nevroticamente il papillon. Non rimaneva dritto e questo gli faceva saltare i nervi. L’ultimo bottone della camicia, inoltre, gli stringeva il collo. Avrebbe voluto strapparsela quella camicia e poi anche l’abito; però dopo l’ennesima occhiata allo specchio si convinse di non essere poi così male.

Il sole era calato da un pezzo e Marco si decise finalmente a scendere le scale che portavano al casinò dell’albergo. Una ragazza elegante l’accolse all’ingresso.

-Buonasera- salutò la donna sorridente.

Marco contraccambiò il sorriso e con passo lento si diresse alla cassa per comprare le fiches. Da tanti anni prendeva quei soldi finti e, ogni volta che li teneva in mano, si sentiva più sicuro. Come se avesse sempre una seconda chance.

Con fare disinvolto percorse il disimpegno che lo portava alla porta che dava alla sala grande. Qui, due donne alte, bionde e sorridenti aprirono le ante per il suo passaggio. “La cortesia non manca, qui” pensò tra sé e sé. Mille luci colorate illuminavano la sala, mentre un’orchestrina jazz suonava un lento in un angolo semibuio. Marco si sistemò ancora il papillon e proseguì il suo passo verso la roulette.

Nel tappeto verde erano riportati dei disegni dorati che si univano a formare un grande e unico disegno al centro della sala. In fondo, c’era il bancone del bar e Marco pensò che un bicchierino prima di cominciare gli avrebbe dato la carica giusta.

Una ragazza con un abito rosso stava in piedi e gustava sconsolata il suo cocktail.

-Serata storta?- chiese lui impertinente.

La donna si girò e con i suoi occhi neri lo scrutò dalla testa ai piedi.

-Vuoi diventare il sosia di James Bond?- disse la donna ironicamente, alludendo all’eleganza di Marco.

-Faccio del mio meglio- rispose.

La donna posò il bicchiere vuoto e Marco le invitò un altro drink.

-Mi permetta… uno scotch per me e un altro drink per la signora.- disse Marco al cameriere.

-Facciamo uno scotch anche per me.- lo corresse lei.

-Uuhh, una vera donna.- disse Marco.

-Che c’è? Non ne hai mai visto una?- rispose la donna corrugando la fronte.

Marco bevve un sorso lentamente e posò il bicchiere sul bancone.

-Passa una bella serata.- disse, lasciando la donna sola al suo scotch.

Mentre lui si dirigeva presso la roulette, la donna si girò a guardarlo, incuriosita di sapere il nome. Marco prese posto al tavolo e si girò verso il bancone. La donna si rimise nella sua posizione repentinamente temendo di essere beccata.

 

La pallina rimbalzava tra i numeri. Rosso o nero. Rosso o nero. Era strano come la fortuna di qualcuno dipendesse soltanto da due colori, in quel caso. Marco stringeva una fiche e con l’altra stringeva il pugno. Il suo pensiero andava continuamente a quella donna del bar. L’aveva intrigato, ma non capiva quale fosse la cosa che gli piaceva di lei. Si era immaginato i suoi capelli, lisci, che le cascavano sulle spalle, nascondendole. Poi era passato ai suoi occhi. Aveva notato quanto fossero incredibilmente scuri e sforzava di ricordarsi dove aveva visto degli occhi così. L’abito rosso conteneva le sue forme, e si stringeva elegantemente poco prima del ginocchio.

-Monsieur… Monsieur!- gridò il croupier.

Marco si svegliò da quello stato di dissociazione e fece distratto la sua puntata.

-Pardon!- rispose lui con garbo.

La ruota girava velocemente nascondendo per pochi istanti la pallina. Tutti, col fiato sospeso, cercavano di prevedere dove la biglia si sarebbe fermata.

-27, rouge!- annunciò il croupier.

Marco sospirò e imprecò ancora, poi alzò lo sguardo e vide all’improvviso che la donna che aveva incontrato prima, riscosse la vincita tra gli applausi. Marco rimase di sasso. La guardava esterrefatto, mentre lei prendeva le fiches dal tavolo. Poi, lei fece il giro del bancone.

-Hai visto come si vince?- gli disse all’orecchio.

Marco la guardò allontanarsi e scomparire tra le porte dell’uscita, poi puntò ancora. Osservò ancora la pallina correre tra i numeri, ma ancora prima che la roulette si fermasse, Marco era già all’uscita. Si sciolse il papillon che lo tormentava fin dall’inizio e corse verso la hall dell’albergo. Gli sembrò che una donna fosse entrata nell’ascensore.

Con uno scatto felino, Marco arrivò in tempo, bloccò la chiusura delle porte ed entrò.

La donna lo guardò senza dire nulla. Marco si avvicinò a lei e la baciò senza darle un momento per pensare. Le loro mani si incrociarono, mentre le loro bocche si cercavano continuamente.

La corsa dell’ascensore durò troppo poco, così Marco portò quella donna così misteriosa ma assai intrigante nella sua stanza. Non accese nemmeno la luce.

Si buttarono sul letto a capofitto. Lei lo guardava mentre audacemente le sfilava il vestito e scoprendo il suo seno. Le labbra esploravano tutto il suo corpo, finché lei vinta si lasciò andare. Marco non aveva mai provato nulla di simile.

 

I raggi del sole entrarono prepotentemente all’interno della stanza. Marco aprì lentamente gli occhi e vide che al suo fianco non c’era più nessuno. Sorrise. Un sorriso amaro, il suo. Passò la mano sulle lenzuola bianche e pensò a ciò che era successo poco prima. I loro corpi si arresero solo a notte inoltrata. Gli parve di aver vissuto un sogno.

Sul comodino trovò un biglietto.

“Sei meglio di James Bond,

Lara”

Marco sorrise ancora, e stringendo il biglietto nel suo pugno pensò che una donna così non l’avrebbe mai più incontrata. Una donna tutta d’un pezzo.

 

© Michael Floris – Tutti i diritti sono riservati.

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