EDWARD HOPPER: ROOM IN NEW YORK
Info sul quadro
Anno: 1932
Dimensioni: n.d.
I rumori della città si affacciavano dalla finestra in un pomeriggio uggioso. Bet pichiettava con il dito i tasti del pianoforte, cercando di trovare una melodia orecchiabile. Rob non la guardava nemmeno ed era concentrato a leggere il giornale sulla sua poltrona. Non sembravano neanche due sposati. Bet e Rob stavano nella stessa stanza, ma erano lontani anni luce. Soli, nel loro mondo.
La notte di passione che era appena trascorsa sembra un ricordo ormai remoto, e il silenzio prolungato sembrava innalzasse un muro di disagio.
Il New York Times non dava nessuna notizia interessante, e il pianoforte di Bet non produceva nessuna nota convincente. Il tavolo, i quadri appesi alla parete, il rumore del traffico non sembravano reali. Ogni cosa là dentro pareva frutto di un’astrazione. I loro occhi cercavano di evitarsi, come su l’uno potesse leggere dallo sguardo le incertezze dell’altra.
Solitudine. Fa ancora più male quando si presenta così, e si scopre che la persona al tuo fianco non sia capace di riempire le giornate. Rob e Bet l’avevano capito, ma non avevano il coraggio di dirselo, e soprattutto, di ammetterlo a se stessi. L’angoscia e la malinconia li avvolgeva in una spirale dalla quale era impossibile uscire, o almeno così sembrava ad entrambi. Eppure sarebbe bastato un gesto, uno sguardo, un colpo di tosse. Qualunque cosa per tenerli vicini. Non sapevano nemmeno cosa ci facevano nella stessa stanza. Forse stavano lì, insieme, per abitudine. Brutta parola questa. Quando l’amore lascia spazio all’abitudine e nessuno se ne accorge.
La verità è che quando non c’è più niente da dire, bisogna avere il coraggio di muoversi, per non rimanere impantanati nella palude della solitudine.
© Michael Floris – Tutti i diritti sono riservati.